Contratto con forma scritta “ad probationem”: l’inammissibilità della prova testimoniale non è rilevabile d’ufficio

Contratto con forma scritta “ad probationem”: l’inammissibilità della prova testimoniale non è rilevabile d’ufficio
02 Novembre 2020: Contratto con forma scritta “ad probationem”: l’inammissibilità della prova testimoniale non è rilevabile d’ufficio 02 Novembre 2020

Con la sentenza n. 16723/2020, depositata il 5 agosto, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione sono intervenute per risolvere un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in tema di contratti con forma scritta “ad probationem” e sui limiti all’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale.

IL CASO. La pronuncia origina da una controversia per il pagamento del corrispettivo di una fornitura di merce. Il venditore Tizio aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale ingiunzione di pagamento nei confronti della società Alfa per il pagamento della somma dovuta a titolo di corrispettivo, come risultante da fattura commerciale. 

La società Alfa aveva opposto la predetta ingiunzione, deducendo che il contratto era stato risolto consensualmente, a causa della cattiva qualità della merce, ed era stato convenuto il pagamento di una somma ridotta. 

Al fine di dimostrare gli accordi intercorsi fra le parti veniva espletata la prova testimoniale. Alla luce delle sue risultanze il Tribunale di primo grado, ritenuta mancante la prova del credito azionato, accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo.

Tizio, quindi, proponeva appello avverso la predetta sentenza. Il gravame veniva accolto dalla Corte d’appello, che respingeva l’opposizione della società Alfa, perché l’allegata risoluzione del primo contratto di vendita, dovuta alla cattiva qualità della merce, integrava una transazione.

La Corte d’appello aveva, infatti, rilevato d’ufficio che la transazione avrebbe dovuto essere provata per iscritto, ai sensi dell’art. 1967 c.c., ritenendo a tal fine irrilevante la deposizione del teste, escusso in prime cure.

La questione veniva, dunque, sottoposta all’attenzione della Suprema Corte di cassazione. 

La società Alfa lamentava, in particolare, che la Corte d’appello avesse arbitrariamente dichiarato la nullità o l’inutilizzabilità della prova testimoniale, ammessa ed espletata in primo grado, reputando che fosse intervenuta tra le parti una transazione da provarsi per iscritto e non mediante testimoni.

Secondo la ricorrente, infatti, l’accordo transattivo richiedeva la forma scritta solo a fini probatori, pertanto la relativa carenza non poteva essere rilevata d’ufficio dal Giudice.

La Suprema Corte, preso atto dell’esistenza di difformità delle sezioni semplici sulla questione, e la particolare importanza della stessa, disponeva la trasmissione del fascicolo al Primo Presidente il quale lo assegnava alle Sezioni Unite.

DIRITTO.  La Corte, a Sezioni Unite, ha rilevato, anzitutto, l’esistenza sulla questione di un primo orientamento giurisprudenziale, da ritenersi prevalente, secondo il quale per i contratti per i quali la forma scritta è richiesta “ad probationem” l’inammissibilità della prova testimoniale non può essere rilevata d’ufficio.

Secondo questo orientamento, la parte che intende opporsi alla richiesta di ammissione della prova per testi, relativa ad un contratto che deve essere provato per iscritto, deve sollevare l’eccezione all’atto dell’assunzione della prova, secondo le modalità di cui all’art. 157, co. II, c.p.c, ovvero nella prima istanza o difesa successiva all’escussione. In caso contrario, la prova ammessa deve ritenersi ritualmente acquisita e la relativa nullità dovrà intendersi sanata.

La Suprema Corte ha poi rilevato l’esistenza di un contrapposto orientamento, da ritenersi minoritario, secondo il quale “quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista per un certo contratto la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l’esistenza del medesimo è inammissibile, salvo che sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento, così come è inammissibile la connessa prova per presunzioni” senza che sia possibile una qualsiasi sanatoria.

Le Sezioni Unite hanno dichiarato di aderire al primo e maggioritario indirizzo.

Pertanto, a composizione della difformità di pronunce sulla individuata questione, hanno concluso enunciando il seguente principio di diritto:

l’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725 c.c., comma 1, attenendo alla tutela processuale di interessi privati , non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata egualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157 c.p.c., comma 2, rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione”. 

Secondo le SS.UU., infatti, le norme che determinano i “limiti oggettivi di ammissibilità” della prova testimoniale (art. 2721 c.c. e segg.) sono tutte stabilite nell’esclusivo interesse delle parti private, e non nell’interesse pubblico al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, ragione per cui, a differenza di queste ultime, la nullità della prova assunta nonostante tale genere di divieto on può essere rilevata d’ufficio, essendo onere della parte interessata di eccepirla tempestivamente.

In applicazione del suddetto principio di diritto al caso di specie la Corte ha accolto il ricorso.

La sentenza è stata, dunque, cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello in diversa composizione.

Altre notizie